martedì 15 dicembre 2015

Evidence Based Galaxy: quando la medicina incontra Star Wars


Qualora qualcuno non se ne fosse ancora accordo domani esce il nuovo capitolo di Star Wars.

Mi rifiuto di nutrire la più vaga speranza che si tratti di un capolavoro, mi aspetto al più duelli tamarri a colpi di spade laser e coltivo una flebile curiosità su un Harrison Ford sull'orlo della pensione che ha sacrificato un piede pur di tornare sul Millennim Falcon.  
L'effetto collaterale della febbre da Star Wars (almeno per chi è un fan di lunghissima data come me) è vedere i negozi insolitamente pieni di gadget, cartelloni pubblicitari enormi per strada e soprattutto la bacheca di Facebook intasata da meme, trailer e notizie sulla galassia lontana lontana.

Tutto è cominciato con un articolo scovato per caso di link in link:
Pulmonary Pathophysiology in Another Galaxy, Anesthesiology 2014. Uno studio quasi serio sulle cause dell'insufficienza respiratoria di Darth Vader (si sono presi la briga di calcolarne la frequenza respiratoria a riposo e sotto sforzo, per dire). Un'infanzia passata a tremare per quel sinistro whisss-shha per arrivare alla soglia dei trent'anni e scoprire che si tratta di una banale BiPAP.

Così mi è venuta l'insana tentazione di aprire PubMed e cercare "Star Wars" e...

...in fondo dovevo saperlo che nel mondo della scienza (medicina inclusa) i nerd abbondano.

La ricerca produce 76 risultati e ho selezionato per voi i migliori.

Ora, come i fan di Star Rats, prendete il monitor del computer, inclinatelo e allontanatelo piano piano canticchiando la sigla di Star Wars.

Nota per gli studenti di medicina e i colleghi: molti articoli non sono disponibili gratis, ma la nostra università con la lungimiranza che le è propria è spesso abbonata alle riviste in questione, se non vedete l'ora di immergervi nei full text accedete con le credenziali!

10) Su Psychiatry Research si sono chiesti non più di due mesi fa se Anakin Skywalker potesse soffrire di disturbo borderline di personalità e la risposta pare essere sì (soddisfa ben 6 dei 9 criteri del DSM).
Il full text merita: l'autore propone un audace paragone tra Anakin Skywalker e Spock di Star Trek indicando come causa comune del disturbo di personalità dei due personaggi la perdita precoce della madre, arrivando inoltre a sostenere che l'assenza di una figura paterna efficace abbia segnato il destino malvagio del giovane Anakin a differenza di quanto accaduto a Spock, protetto in questo sensodal benefico influsso del padre vulcaniano [beccati questa Obi-Wan].

9-8-7) Più genericamente Australas Psychiatry suggerisce di utilizzare i personaggi di Star Wars (ben noti agli studenti e agli specialisti e destinati ad incrementare ulteriormente la propria popolarità grazie alla nuova trilogia in arrivo) come modelli psicopatologici. ADHD, cleptomania, ansia, pedofilia... a quanto pare la galassia lontana lontana ha in comune con la nostra almeno il DSM.
La stessa idea è venuta anche ad Academic Psychiatry che aggiunge al già nutrito elenco dei disturbi psichiatrici tipici del lato oscuro il disturbo post traumatico da stress, la violenza nei confronti del partner e, ovviamente, il complesso di Edipo.
Per par condicio esiste anche un articolo gemello sul lato chiaro che è tutt'altro che immune da psicopatologia annoverando tra le sue file il disturbo ossessivo compulsivo, i disturbi psichiatrici perinatali, la schizofrenia, la pseudo-demenza, le lesioni del lobo frontale [questa sono proprio curiosa di sapere a chi l'hanno attribuita], il gioco d'azzardo patologico e l'ipocondria.

6) La psicoanalisi va a nozze con la storia della lotta padre-figlio con duplice voltafaccia di Episodio VI - Il ritorno dello Jedi. Imperdibile, in particolare, la descrizione di un duello condotto con "spade laser dall'aspetto fallico simili ad un calippo alla frutta gigante". 

5) Ma Star Wars non serve solo da modello per i pazienti psichiatrici, a quanto pare può tornare utile anche come esempio di comportamento del terapeuta nella psicoterapia di liason.

4) Finora sembra che la saga interessi principalmente gli psichiatri, ma ecco giungere la vendetta dei gastroenterologi che si lanciano in ardite metafore tra Jedi ed endoscopisti e spade laser e pinze bioptiche. Che il gastroscopio sia con voi.

3) questo potrebbe considerarsi uno spin off. Tra i mille temi trattati in Star Wars c'è quello della clonazione umana (tema a quanto pare condiviso da almeno altri 33 film negli ultimi quarant'anni). Fino a che punto l'opinione pubblica sulla clonazione è influenzata da simili film? Se siete curiosi il full text è gratuito.

E poi ci sono i geni, quelli che per rendere interessante un articolo lo scrivono come se fosse Star Wars.
Abbiamo due articoli in questa categoria


e il vincitore indiscusso, che vi traduco per intero, perchè dopo l'ematologia non potrà più essere la stessa. Altro che "Esplorando il Corpo Umano".

Quando i vasi sanguigni si lacerano, le forze della circolazione sanguigna aumentano e si modificano. Il lato oscuro di queste forze causa l'emorragia e la morte, ma il fattore di Von Wiellebrand, con l'aiuto del nostro sistema circolatorio e delle piastrine, imbriglia le stesse forze nel coagulo. La Forza e la funzione del fVW sono così interconnesse che, come i membri dell'ordine Jedi nel film Star Wars che imparano ad utilizzare "la Forza" per fare del bene, il fVW può essere considerato il cavaliere Jedi del flusso sanguigno.


E' in momenti come questi che quasi (quasi) rimpiango di aver già dato l'esame di EBM.

venerdì 11 settembre 2015

Il MIO TEST DI MEDICINA.... 9 ANNI DOPO


Martedì in quell'aula a condividere la sorte dei sessantamila aspiranti studenti di medicina c'ero pure io.
No, non mi sono divertita così tanto durante l'università da prendere la folle decisione di ricominciare tutto da capo (anche se tutto sommato...) né hanno scoperto una falla burocratica insanabile nel mio percorso di studi tale da costringermi a risostenere il test.

E' successo invece che i DSA sono giunti in età da Università, così questa volta, anziché limitarmi come negli ultimi anni a fare da sorvegliante al test, mi è toccato fare da "lettore".
Ciò significa che per due ore circa sono stata seduta a fianco a un ragazzo dislessico con l'incarico di leggergli le domande su richiesta, sforzandomi il più possibile di mantenere un'intonazione neutra di modo che eventuali cambi di tono non potessero essere interpretati come suggerimenti.

Si è avvalso poco del mio aiuto, devo ammettere, forse farsi leggere quesiti complessi a risposta multipla non è poi così vantaggioso o forse quel ragazzo era come i due di cui ho carpito la conversazione fuori dai bagni: "Cosa vorresti fare?" "Io Farmacia, questo test lo faccio come seconda scelta" "Ah guarda, io non volevo neanche venire, ma i miei mi hanno iscritto a mia insaputa...".

Qualunque fosse la storia del ragazzo che affiancavo e le sue ragioni per essere lì, a me sono rimaste due ore di potenziale noia trasformatesi in un'opportunità unica: quella di sbirciare sul suo foglio e tentare di rispondere alle domande per conto mio.

Dal lontano 2007 ogni settembre tento di mettermi alla prova per capire se le domande sono più facili o più difficili di quelle che toccarono a me, se sarei ancora in grado di rispondere (o se addirittura lo farei meglio), ma di fatto mi sono sempre mancate la voglia, il tempo e la possibilità di fare una simulazione autentica.

Questa volta, invece, ho diligentemente letto le domande e provato a rispondere per conto mio, poi, dal momento che lì non avevo la possibilità di usare carta e penna per scrivere, tornata a casa mi sono data ancora mezz'ora per le domande che richiedevano calcoli o disegni e infine ho confrontato le risposte con le soluzioni uscite in serata.
Prima di dirvi com'è andata, però, vi elargirò qualche considerazione casuale.

Ho sostenuto il test nel 2006 e in questi nove anni sono cambiate miriadi di cose. Fiumi di inchiostro sono stati versati sul test e pile e pile di incartamenti si sono accumulati nelle aule dei TAR.
Nel 2006 si arrivava a Palazzo Nuovo alle 8 del mattino, ci si metteva in coda, si rispondeva all'appello (in banale ordine alfabetico per cognome) si produceva un documento di identità, si ritirava un plico numerato, ci si sedeva al posto assegnato e si attendevano le 11 senza uscire dall'aula. Poi, ad un segnale concordato, si iniziava la prova, si compilava un'anagrafica e il foglio delle risposte, si chiudeva il tutto in due buste separate e si consegnava.




Nel 2015 si arriva al nuovo e futuristico Campus Luigi Einaudi sul Lungodora alle 8 del mattino, si cerca l'aula assegnata (per ordine di data di nascita, a parte i gemelli che vengono rigorosamente divisi), si dichiarano le proprie generalità all'ingresso in aula, si fornisce un documento ad una seconda persona, poi si ritira un'etichetta, si ripone il documento in tasca e si viene accompagnati al banco da un terzo incaricato. I plichi vengono distribuiti tutti insieme alle 10.30, li si può aprire alle 11.00, ma bisogna compilare un'anagrafica, apporvi l'etichetta apposita, compilare il foglio delle risposte e, al momento della consegna, estrarre da un bussolotto una nuova etichetta in duplice copia apponendone una all'anagrafica e la seconda al foglio delle risposte, i quali verranno inseriti in grandi scatole presigillate.
Una via di mezzo tra un test d'intelligenza per aspiranti astronauti e le precauzioni di un soggetto con manie di persecuzione, un metodo palesemente progettato per disorientare gli studenti a caccia di ricorsi e talmente complesso nella sua messa in opera da fare la gioia degli avvocati.

Nel 2006 ci si iscriveva al test di una facoltà, se entravi eri dentro, se no eri fuori e tanti saluti. Nel 2006 il Cineca non sapeva distinguere le due facoltà di Torino, quindi ti iscrivevi ad una e gareggiavi solo per quella, ma la graduatoria finale sul sito era mischiata e se finivi verso le ultime posizioni accettabili non avevi modo di capire se fossi entrato e dove.
Nel 2015 la graduatoria è nazionale e ci vanno venti giorni a sapere se sei entrato e sei mesi a capire dove.

Nel 2006 gareggiavo con altre 2700 persone per 292 posti.
Nel 2015 i ragazzi sono 60.000 per 9.000 posti e detta così sembra molto più vantaggioso.

Nel 2006 le domande erano 80 (33 di logica e cultura generale, 21 di biologia, 13 di chimica e 13 di matematica e fisica) e nella mia Facoltà si entrava con un punteggio di 40.
Ora le domande sono solo più 60: 20 di logica, 2 di cultura generale, 18 di biologia, 12 di chimica e 8 di matematica e fisica.

Nel 2006 tra le domande di cultura generale si trovava il diritto d'asilo nel medioevo, un brano dei Promessi Sposi, Enrico IV, una descrizione della Venere di Botticelli, una poesia di Pavese, la distanza in linea d'aria tra svariate città europee, una serie infinita di domande sul Risorgimento, la definizione di format, una figura retorica tratta da un carme di Catullo, il celebre "I have a dream" e perfino la cinematografia neorealista.
Nel 2015 le domande di cultura generale sono due: "Dove si tenne l'esposizione universale del 1900" e "Quale di questi non è stato un presidente della Repubblica italiana". Roba da "Chi vuol esser milionario" e pure sotto i 5.000 euro di montepremi.

In compenso sono comparse domande che mi hanno messo oggettivamente in difficoltà tipo questa:
Effettivamente si dà una condizione in cui la prima e la terza affermazione possano essere vere in contemporanea, ma ciò le rende logicamente equivalenti?

Oppure questa:
Sì, alla quarta settimana se compro una confezione di caffè spendo lo stesso che nelle settimane 2-5 ma se ne compro due? spenderei di più perché non dice da nessuna parte che ho 100 g in omaggio per confezione
In conclusione 19,5 punti su 22, fatti i dovuti conti  un risultato sovrapponibile al punteggio del 2006.

Ma con la logica ancora me la cavo, veniamo alla biologia: le dimensioni di un lisosoma, il ciclo di Calvin (ma chi? quello con lo strano peluche a forma di tigre?) il numero di legami idrogeno del DNA, l'ordine in cui si legano le varie molecole per la contrazione muscolare... tutte cose che certamente sapevo un tempo, ma è sempre divertente scoprire che alla carriera universitaria è sopravvissuta solo qualche nozione sui gruppi sanguigni, sul potenziale d'azione e la genetica basilare.
Schifo totale 8,75 su 18.
Paradossalmente farei oggi il test del 2006 con molta meno difficoltà di allora: il significato di posologia e di semeiotica, l'anatomia del midollo spinale e dei corpi vertebrali, il sistema parasimpatico, l'homunculus di penfield, il valore della pressione diastolica, l'endometrite... tutte cose che allora avevo appena sentito nominare di sfuggita e che ora mi sono molto più familiari.

Ma la capitolazione totale nel 2015 avviene con chimica: 2 punti su 12 con domande di organica ed inorganica in tutto e per tutto sovrapponibili al 2006. Ad eterna dimostrazione che questa materia mi piace quando la studio, ma non permane nel mio cervello per più di un paio di settimane, non c'è esame da 27 crediti che tenga.

La grande sorpresa giunge con matematica e fisica: ben 3,75 punti su 8, circa il doppio di quelli che presi all'epoca (dai, che dopo tutto da laureata ad una facoltà scientifica qualcosa di più di numeri so rispetto a quando ero diplomata al classico).

Totale punteggio del 2006: 59,5/80
Totale punteggio del 2015: 35,5/60

Tutto questo lungo e noioso sproloquio infarcito di domande e statistiche per dire cosa?
Semplicemente che la penso ancora come nel 2009 e che sono ben felice che le mie performance al test di medicina siano peggiorate col tempo.
Sarei molto dispiaciuta se da medico fossi in grado di entrare a medicina meglio di un liceale: perché quello è compito loro, dei neodiplomati, intendo, non dei primari. E' compito loro saper bilanciare le reazioni, ricordarsi le leggi dei gas e il ciclo ovarico. Per questo vorrei dire due parole a chi si lamenta così:
Caro anonimo figlio di primario, meno male che tuo padre non si ricorda dell'esistenza di una vescicola piena di enzimi che permette agli spermatozoi di farsi strada nell'oocita per fecondarlo! Non sarà primario della ginecologia, spero, e anche se lo fosse tale ignoranza non inficerebbe troppo il suo lavoro.
Il test di ammissione non deve selezionare dei bravi medici, deve scremare i bravi studenti. Magari l'acrosoma non rientrava nel programma di citologia del tuo libro di scienze e di questo il ministero dovrebbe scusarsi, ma che tuo padre medico non lo sappia, fidati, è un bene. Così come è un bene che il test non assomigli a quello per entrare nel Mensa.

Per studiare Medicina non serve un'intelligenza spropositata e, grazie a dio, non serve essere medici. Basta avere una moderata capacità di ragionamento e parecchia voglia di studiare. Studiare cose che lasceranno labili tracce di sé nei tuoi ippocampi, ma che saranno servite ad altro. Tuo padre ha dimenticato cos'è un acrosoma perché ora sa ricordarsi in che anno il signore del letto 6 ha messo 4 stent coronarici e su che vasi, o sa tenere a mente i venti pazienti che ha visto nell'ultimo turno in pronto soccorso e di cui sta aspettando gli esami.
Quindi vi prego, basta con queste polemiche sterili. Con questi "Non è giusto che al test di medicina venga chiesto il Rinascimento", qualunque bravo studente delle superiori deve poter passare il test, ed è più probabile che abbia studiato il Rinascimento che il luogo della scoperta del DNA o l'expo del 1900.

Intanto io sono qui, in trepidante attesa delle graduatorie, per scoprire se, da medico, sarei entrata a Medicina da qualche parte in Italia oppure no. Che poi, ripensandoci, con il ricorso entrerei comunque, con buona pace di Calvin e del suo ciclo.

sabato 20 giugno 2015

(CO)SCIENZA DELLA COMUNICAZIONE

Un medico che conosco ha ricevuto dalla sua banca una "Proposta di modifica unilaterale del contratto". Trovandola incomprensibile si è recato dal Direttore, ha appoggiato la lettera incriminata sulla scrivania del suddetto e gli ha cortesemente comunicato quanto segue: "Conosco bene l'Italiano, ho una laurea in medicina, insegno all'Università eppure non ho capito una virgola di quello che scrivete. Si può immaginare gli altri vostri clienti?".

Ecco, io penso che se i nostri pazienti fossero meno intimiditi dalla figura del Dottore spesso e volentieri ci direbbero la stessa cosa. Magari sono ingegneri nucleari con un dottorato al MIT, ma non per questo sono avvantaggiati rispetto al metalmeccanico nella comunicazione coi medici.

Negli anni da studenti tutti noi abbiamo goduto di una posizione privilegiata, abbiamo ascoltato "medici veri" spiegare diagnosi, illustrare procedure, descrivere condizioni, informare (o convincere) i pazienti, possedendo noi stessi una conoscenza della medicina di poco superiore a questi ultimi.
Forse abbiamo ammirato qualcuno per la sua chiarezza e pacatezza nel semplificare procedure complesse, ma quante altre volte ci siamo ritrovati a pensare che la spiegazione fosse incomprensibile o inquietante?
Magari ci siamo anche ripromessi di migliorare su questo aspetto, poi siamo cresciuti, siamo diventati medici anche noi e abbiamo ereditato lo stesso difetto.

Quando mia nonna era ricoverata all'ospedale, mia madre, un giorno, mi riportò il seguente bollettino: "Mi hanno detto che nonna ha i nervi scossi". Non riuscivo proprio a ricollegare l'immagine un po' sonnolenta di mia nonna con l'insufficienza renale a qualcuno con i "nervi scossi" finché non mi tornò in mente un pomeriggio di studio di fisiologia cardiaca.
"Mamma, non è che per caso ti hanno detto shock?"
"Sì, esattamente".
Mi ci era voluta Santa Wikipedia all'epoca di fisiologia per svelare l'arcano.
L'italiano comune ha ereditato questo orrendo anglicismo come sinonimo di scossa ("Giulio è stato licenziato in tronco: che shock!") mentre il medichese ne utilizza (in assenza di analogo italiano) il significato scientifico ovvero "grave e spesso irreversibile insufficienza circolatoria". Volendo scegliere un sostantivo dell'italiano comune per esprimere questo concetto ad un pubblico profano il termine migliore potrebbe essere collasso. 
Lo studente di medicina la prima volta che sente nominare lo shock in senso medico si chiede cosa sia, poi ne impara il significato come l'architetto impara quello di putrella e lo usa tranquillamente con i propri interlocutori, apparentemente del tutto immemore del ben più comune significato del termine e genera così ogni sorta di equivoci.

E già siamo fortunati rispetto al mondo anglosassone dove metà delle parole scientifiche, in quanto di derivazione latina, sono completamente diverse dal lessico di uso comune. Lieti del fatto che la differenza percepita in italiano tra addome e pancia e tra cranio e testa non sia così abissale, dovremmo quanto meno sforzarci di limitare l'uso degli acronimi. Cosa sia un ECG in ambio sanitario lo sanno anche i sassi, ma coi pazienti è sempre meglio sprecare quelle quattro sillabe in più per dire elettrocardiogramma, medesime sillabe che possono essere proficuamente investite per dire ecografia del cuore al posto di ecocardio.

Talvolta ho assistito a capolavori del tipo: "Il Suo parente ha dei piccoli ictus in ortostatismo di chiara natura emodinamica". L'unica parola comprensibile per il senso comune è ictus che evoca però vecchi paralitici, un messaggio non troppo rassicurante, soprattutto considerando che il senso della frase era "Ogni volta che Suo padre si siede non arriva abbastanza sangue al cervello e sembra che abbia un ictus finché non si sdraia di nuovo e tutto torna come prima".





Può anche capitare, però, che il problema non sia quanto sia comprensibile una frase, ma quanto sia emotivamente accettabile. "Domani deve fare la scintigrafia, è un esame in cui le iniettano un liquido radioattivo e poi la fotografano per vedere dove si accumula. Emanerà radiazioni per un po'". Descrizione scientificamente ineccepibile, discretamente comprensibile, ma a meno che il vostro paziente sia un fisico delle particelle (e poi ancora) alla parola "radioattivo" gli scorreranno sulla retina immagini di Hiroshima, di uomini in tuta bianca che maneggiano uranio con pinze lunghissime o, nella migliore delle ipotesi, dell'uomo ragno. Pazienza se per noi addetti ai lavori non c'è grande differenza fra un emettitore di raggi X che genera una TAC o un mezzo di contrasto che emette raggi gamma per la scintigrafia... per chiunque con una spiegazione del genere il primo esame sarà più accettabile del secondo.

Un chirurgo ha spiegato così l'intervento di paratiroidectomia ad una mia paziente: "E' molto facile, facciamo un taglio qui sul collo, isoliamo i vasi, togliamo queste ghiandole e gliele reimpiantiamo in un braccio".
Lui era serafico, lei terrorizzata. Per lui era odrinaria amministrazione, per lei un intollerabile frugare nelle profondità dei suoi organi.
Non si può negare che ciascuno di noi la primissima volta che ha visto mettere un catetere vescicale è stato percorso da un brivido freddo lungo la schiena o si è sentito a disagio vedendo il paziente contorcersi mentre il medico cercava con l'ago di pungere l'arteria del polso per un'emogasanalisi.
Dopo decine o centinaia di procedure, un così elevato grado di empatia col paziente per fortuna scompare, o non saremmo in grado  di svolgere il nostro lavoro serenamente, ma non possiamo scordarci che per chi ci sta di fronte "buchiamo un vaso del collo" o "mettiamo un tubicino nel torace per togliere il liquido e farLa respirare meglio" può essere di un'invasività insostenibile.

Partendo da questo mucchio di problemi di base, le cose non possono che complicarsi immensamente quando si tratta di comunicare notizie difficili. Gli eufemismi, ci insegnano, sono da evitare, altrimenti la speranza ha sempre il sopravvento. Ho visto mariti chiedere "Ma quindi come sta?" in risposta a un troppo sensibile "Sua moglie non ce l'ha fatta".
D'altro canto troppo spesso ci dimentichiamo che dopo aver pronunciato parole come morto, tumore, incurabile il cervello del nostro interlocutore sta girando a tremila per elaborare e accettare l'informazione e non è in grado di effettuare contemporaneamente lo sforzo (come abbiamo visto già gravoso) di comprendere i dettagli che gli stiamo fornendo.
Ma noi siamo in pronto soccorso e di là all'accettazione c'è uno che urla perché è in coda da sei ore e non è ancora stato visitato.

E' così che mi chiedo, quand'è che di preciso abbiamo perso la capacità di distinguere ciò che è chiaro a noi da ciò che è chiaro al paziente? Quand'è che abbiamo perso il contatto con la realtà? A forza di frequentare solo medici e studenti di medicina? A forza di sforzarci di non farci capire dai pazienti mentre parliamo tra noi? Perché non si tratta di avere doti comunicative particolari, che per un mestiere come il nostro sarebbero pure fondamentali, si tratta del puro e semplice atto di comunicare, ovvero generare una relazione in cui si trasmette un messaggio e si recepisce un feedback, possibilmente positivo, di quanto trasmesso.

Ricordate Paco Lanciano il modellinista di SuperQuark capace con un telo di gomma e quattro sfere metalliche di far comprendere a chiunque la teoria della relatività generale?
Forse dovrebbero chiamare lui a tenere il corso di comunicazione nelle facoltà di medicina. In fondo il diritto del pubblico di imparare la teoria dei buchi neri non è sicuramente maggiore di quello del paziente ad essere rassicurato e a comprendere cosa avverrà della sua salute.

sabato 25 aprile 2015

LA PRIMA GUARDIA NON SI SCORDA MAI



Inizi della specialità, primo sabato di guardia in reparto, dicono che i novellini siano sempre i più sfortunati, ma io non sono superstiziosa.

"Hai già dato un'occhiata al 7? è venuto il medico di guardia tre volte questa notte".
Il ruolo degli infermieri, nelle guardie festive, è essenziale. Ti trovi con trenta malati sconosciuti e scegliere chi visitare per primo non sempre è semplice.
Il paziente in questione è, ad essere ottimisti, in coma, con un braccio rigido come un tronco e l'altro plegico, senza tono muscolare. Prendo i parametri, misuro la glicemia, faccio l'elettrocardiogramma, quando sto per chiamare la radiologia arriva lo strutturato che mi toglie le castagne dal fuoco insistendo personalmente con i radiologi per una TAC urgente.

L'emergenza in medicina interna non assomiglia per niente ad ER, anche perché siamo due medici per trenta malati i quali sembrano essersi  accordati per lamentarsi in contemporanea.

La signora del letto 15 deve essere dimessa e a quanto pare abbiamo perso parte della sua documentazione clinica, ma io non ho mai visto lei né la sua cartella e se anche quest'ultima fosse rimasta in qualche luogo dell'ospedale sarebbe di certo impossibile trovarla di sabato quando tutto, tranne i servizi essenziali, è chiuso. Ai parenti, però, viene una crisi di panico quando lo comunico, così, mentre dalla radiologia chiamano per avvisarci che il nostro 7 ha un'emorragia cerebrale e altri venti pazienti attendono di essere visitati bisogna anche attivare una catena telefonica per tentare di svelare il mistero della documentazione perduta.

I parenti della signora al letto 6, invece, ci tengono a sottolineare che secondo loro ha bisogno di una coronarografia e mi tocca spiegare la differenza tra questa e la scintigrafia miocardica che è stata richiesta dai colleghi e perché nel suo caso si tratti dell'approccio migliore.

Poi c'è il signore al letto 9 che mi convoca d'urgenza per informarmi che vuole firmare ed andarsene. Intanto il 7 torna con la sua diagnosi di ictus e bisogna chiamare il neurochirurgo, impostare la terapia dell'edema cerebrale e spiegare per telefono l'accaduto ai parenti che sono in arrivo e per poco non si schiantano in macchina alla notizia.

Fa poi il suo ingresso in reparto un nuovo paziente da ricoverare, perché il pronto soccorso è sommerso e non può fare a meno di mandarci un tranquillissimo caso di crisi epilettiche recidivanti.
Mentre compilo la cartella alla meglio, con mezzo reparto ancora da visitare, torno a parlare con il 9 spiegandogli che sì, se vuole può tornare a casa a neanche 24 ore dal ricovero, ma in fondo è stato lui a recarsi in pronto soccorso perché non respirava bene e la speranza che risolvessimo il suo problema tra le 18 del venerdì e le 14 del sabato era piuttosto irrealistica.

"Dottoressa?"

No, non credo di poter sopportare un altro parente insoddisfatto del cibo, delle attenzioni, dei vicini di stanza.

Mi volto di scatto con l'aria un po' scazzata.

Quello che mi viene incontro con l'andatura un po' incerta, un bastone in una mano e nell'altra un pacco di dolci è il marito della 6, la signora che non voleva fare la coronarografia.

"E' stata così gentile a prendersi cura di mia moglie, sa, mia figlia e mio genero parlano tanto ma è perché ci vogliamo bene".

Mi porge il pacco.

"Tenga, ma prima di mangiarli, mi raccomando, ci canti sciuri sciuri così si credono che è siciliana anche Lei e si fanno più buoni".

domenica 12 aprile 2015

LA BUONA SQUOLA

Vengo da un'epoca in cui un qualsivoglia errore ortografico al liceo (classico) significava 4, indipendentemente dal contenuto del compito. Una volta scrissi strattagemma e mi vidi riconsegnare il tema con un fregaccio blu. Combattei per quello che non credevo un errore e mi salvai grazie al (sempre-sia-lodato) Devoto-Oli  il cui lemma riportava: "stratagemma sost. s. m.; anche popol. strattagemma". Il mio voto tornò sufficiente, ma imparai a scrivere stratagemma.
Ora so che i miei vecchi professori del liceo (classico!) non correggono più gli errori ortografici nei compiti di matematica e scienze perché "E' compito del collega di italiano...." il quale si giustifica "Se dessi 4 a tutti i temi con un errore non avrei neanche una sufficienza".

Primo Levi, diplomatosi nella mia stessa scuola nel 1937, era in grado di conversare in latino intendendosi perfettamente con un prete polacco*.
I diplomati del 2017 potrebbero non essere più in grado di scrivere poche frasi in corretto italiano.
Cosa diamine è accaduto nel frattempo?
Sarà colpa degli sms, dei videogiochi, di internet, della globalizzazione, dell'inglese?

Sarà colpa nostra?

Se entrate in una classe delle elementari o delle medie di oggi su venti ragazzini almeno quattro saranno certificati come DSA ovvero disturbi specifici dell'apprendimento, un gran calderone in cui rientrano dislessici, disgrafici, discalculi, disprassici.
Tento una piccola spiegazione per chi, come me, non è né neuropsichiatra né insegnante.

Agenore ha sei anni e frequenta la prima elementare. A un certo punto dell'anno scolastico la maestra si rende conto che Agenore è indietro con la lettura, fa indubbiamente più fatica degli altri bambini, eppure è tanto intelligente e capisce al volo le spiegazioni.
Ludmilla, invece, legge come una scheggia, ma fa molta fatica a scrivere e ogni volta incappa negli stessi errori: la b al posto della v, la m al posto della n.
Agenore e Ludmilla vengono valutati da uno specialista dei disturbi dell'apprendimento in età pediatrica e viene loro diagnosticata rispettivamente una forma lieve di dislessia e di disortografia. Entrano così nel circuito dei DSA: hanno (come da definizione) un funzionamento intellettivo di norma e un disturbo specifico dell'apprendimento.

Nella scuola del 1990 sarebbero stati etichettati come un po' lenti, la maestra avrebbe chiesto più spesso ad Agenore di leggere in classe e avrebbe convocato i genitori di Ludmilla per esortarli a farla esercitare a casa con i dettati.
Ma è preistoria.
Cosa accade nella scuola del Ventunesimo secolo?
Accade che l'insegnante è costretto per legge a "tenere conto delle specifiche situazioni soggettive di tali alunni "[...] attuando "nello svolgimento dell'attività didattica e delle prove di esame [...] gli strumenti metodologido didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idoneiper evitare di trasformare in sofferenza il percorso scolastico e valorizzare le abilità proprie di ciascuno.

Così Agenore dovrà sempre essere interrogato e Ludmilla avrà un compito diverso da tutti i suoi compagni, con le domande a risposta multipla anziché aperta. In fondo quello che conta è che i bambini abbiano appreso il contenuto delle lezioni, non che sappiano per forza leggere e scrivere.

Un po' come dire che se non ho il fisico o il fiato di Stefano Baldini non importa, posso correre 10 Km invece di 42 e se arrivo entro lo stesso tempo del campione olimpico vincerò anch'io la medaglia d'oro (senza che, ovviamente, risulti da nessuna parte che ho corso 10 km o potrebbero discriminarmi).

Molto bello, molto egualitario.

Mi chiedo solo come farà Agenore tra dieci anni a leggere gli stati facebook dei suoi amici e come Ludmilla manderà un sms al suo ragazzo. Ma è una distorsione del mio antiquato modo di pensare: chiaramente il primo chiederà a Siri di leggerglieli e la seconda manderà messaggi vocali su whatsapp.
E un contratto? Agenore se lo farà leggere confessando di essere dislessico o farà finta di nulla e firmerà sulla fiducia?

A complicare il tutto nella classe di Agenore e Ludmilla ci sono anche Teofrasto e Berenice, due bambini con identici sintomi: fanno fatica a studiare, a memorizzare, ogni pochi minuti alzano la testa dal libro e si distraggono. I genitori di Teofrasto all'ennesima insufficienza lo portano dal neuropsichiatra. Quelli di Berenice non sono così attenti e si limitano a liquidarla con un "non ti impegni abbastanza".
A Teofrasto viene diagnosticata una dislessia lieve, diventa quindi un DSA e i suoi compiti in classe si fanno automaticamente più semplici. Poiché il bambino non è stupido, capisce subito che con questa nuova modalità di verifica gli basta studiare la metà per prendere 6, così regola il lavoro a casa in modo da assestarsi su un nuovo (più basso) livello di sufficienza e finalmente ha più tempo per la playstation 4 che i genitori gli hanno regalato in premio per i suoi nuovi successi scolastici.
Berenice, invece, arranca con i compiti in classe "normali" e colleziona un 4 dopo l'altro, al punto da rischiare di essere bocciata. Eppure i due bambini sono identici.

Forse questo è un po' meno egualitario.

Il fatto è che ciascuno di noi nasce più o meno fortunato e con più o meno doti e abilità, nessuno nasce onnisciente ed onnipotente.
Chi nasce gracile avrà difficoltà a primeggiare nel sollevamento pesi, chi è stonato farà fatica a suonare il violino, chi è disortografico farà fatica a scrivere.
Se sei stonato, però, sento già qualcuno obiettare, nessuno ti obbliga ad andare al Conservatorio.
Giusta osservazione, allora chiediamoci perché esiste la scuola dell'obbligo.
Esiste perché un tale, già nel 1859, deve essersi reso conto che non saper leggere, scrivere, fare di conto e parlare una lingua comune costituiva un handicap, ovvero non consentiva di vivere bene a questo mondo, più di quanto potesse esserlo non riuscire a correre o a cantare.

Non mi sembra sia necessario un ministro dell'istruzione per capire che chi ha difficoltà a scrivere non ha bisogno di essere esentato per legge dalla scrittura per il resto dei suoi giorni, ma ha bisogno di fare il triplo di esercizi per raggiungere un grado sufficiente. Poi magari non diventerà Proust, ma avrà lavorato negli anni per ridurre lo svantaggio e allora sì che la scuola sarà servita a qualcosa.
Solo che ovviamente per creare appositi corsi di sostegno per i disturbi più svariati servono fondi e competenze, mentre obbligare l'insegnante ad arrangiarsi da solo con 5 DSA diversi purché dia a tutti la sufficienza è gratis.

Consideri Renzi, se questa è una buona scuola.

Watterston aveva già capito tutto un sacco di tempo fa...


* Primo Levi, La Tregua, Einaudi, 1997

giovedì 2 aprile 2015

IL VOLO

E adesso?

Adesso che l'ultimo post ha totalizzato quarantamila visite raddoppiando da solo quelle degli ultimi sette anni?
Cosa scrivo?
Dovrei forse commentare, giustificare, spiegare, andarmi a infilare nel ginepraio della medicina difensiva per giustificare, sostenere, dibattere?

Ho ricevuto i commenti più svariati (e vi ringrazio per tutti).
Brava, ci voleva qualcuno che facesse capire che i medici sono uomini e che ci vuole umanità nella medicina.
Brava, io apprezzo sempre il cinismo.
Molto meglio di Gramellini.
Ecco perché non mi piaceva Gramellini.
Sembra scritto da Gramellini.
Ha ragione Gramellini.
Dovresti farlo leggere a Gramellini.

E invece sapete che c'è? C'è che non ho voglia di rispondere, di spiegare, di argomentare.
Le parole stanno lì, nella loro evidente ambiguità di interpretazione. Fatene cosa volete.
Oggi ricomincio da capo, con un fatto brevissimo, che da tempo volevo condividere.


Il collega che smonta dal turno di notte ci si avvicina con la faccia stanca e una storia da raccontare. "Non l'avete ancora saputo?" si stupisce, il fatto è successo da poche ore, ma in ospedale il tempo non segue le leggi del mondo di fuori.
Inizia a raccontare come chi si toglie un peso dal cuore.
Questa mattina, saranno state le sei - comincia - è arrivato un ragazzo sui trent'anni. Ieri sera era a casa con suo figlio, di circa due anni, e il figlio, coetaneo, di una coppia di amici.
Stava giocando con i bambini a lanciarli in aria e riprenderli al volo.
Lancia uno, lancia l'altro - Il nostro narratore accompagna con partecipazione le parole con gesti eloquenti al punto che vediamo nitidamente l'eccitazione di un bambino immaginario tra le sue braccia.
Lancia uno, lancia l'altro, in un turbine di piccole grida gioiose, finché uno, il figlio degli amici, gli sfugge di mano.
I cento e passa chilometri che li separano dall'ospedale pediatrico sono percorsi invano.
Rimaniamo tutti senza parole per un momento.
L'uomo funziona così, a confronti, quei maledetti neuroni a specchio non fanno altro che ricordarti tutti i giorni che chi ti trovi davanti potresti essere tu.
Brivido collettivo al solo pensiero: la telefonata all'amico, i pianti, il rimorso. Tra dieci anni, tra venti, il figlio che cresce e ti ricorda di un altro che non crescerà. Immagini che ti passano davanti agli occhi in un nanosecondo.
Poi ti rendi conto del perché, anche quando questo ti sembra un mestiere di merda, anche quando non c'è niente da fare, anche quando sei solo spettatore privilegiato dei fatti che la vita ti mette davanti, vale la pena di farlo.
Perché quando tornerai a casa stasera ti verrà voglia di abbracciare un po' più forte quelli a cui vuoi bene e per loro sarà così, senza un motivo apparente.

giovedì 26 marzo 2015

IL WEB, GRAMELLINI E IL MESTIERE DI MEDICO


Molto scalpore ha suscitato, riportano quasi tutti gli articoli che accompagnano quest'immagine, la foto scattata in un pronto soccorso californiano: mostra un medico fisicamente piegato da dolore subito dopo aver perso un paziente di diciannove anni.

Come in ogni notizia dal buonismo facile ci si è gettato a capofitto anche il nostro Gramellini, che chiosa, al termine del suo Buongiorno: "Dovrebbero farne un poster e appenderlo nelle facoltà di medicina".

No, caro Gramellini, le facoltà di medicina non hanno affatto bisogno di questo monito, e ti spiego brevemente il perché.

Quando mi sono iscritta all'università pensavo, come tutti, che quello del medico fosse il mestiere più bello del mondo, perché mi avrebbe consentito di prendermi cura del prossimo, di guarirlo da terribili malattie e nulla mi avrebbe gratificato di più che arrivare a fine giornata sapendo di aver salvato una vita.

Ora che sono un medico penso ancora che il mio sia il mestiere più bello del mondo, ma penso che sia anche uno dei meno gratificanti in assoluto.

Andate in un pub al sabato sera, prendete un campione di cento ragazzi tra i ventuno e i ventisei anni e chiedete loro quante persone, nella loro vita, hanno visto morire, con quanti malati terminali hanno parlato, quanti bambini o coetanei hanno visto soffrire.
Ora ripetete l'esperimento in un'aula del quinto anno di medicina. Forse non tutti avranno avuto un primo tirocinio come il mio, ma ogni studente di medicina, prima della laurea, si è trovato a contatto con la morte e ha sviluppato una strategia per affrontarla, per renderla tollerabile o per chiamarsene il più possibile fuori.
Qualcuno ha scoperto che proprio non ce la fa e ha trovato delle alternative, qualcuno ne fa la propria vocazione, ma, vi svelo un segreto: per nessuno è mai facile.

E quindi sì, meraviglia, il medico che si accorge di essere impotente di fronte alla malattia e alla morte si sente male, quasi come se quello sconosciuto che il caso gli ha affidato fosse un suo amico. Talvolta ce la fa a sopportare il peso, talvolta si convince che si tratti del termine di una sofferenza, talvolta si interroga per giorni su cosa avrebbe potuto fare di diverso o di migliore, talvolta soccombe. Lo fa magari in modo meno plateale del dottore californiano, a casa, sfogandosi con la famiglia o con i colleghi, può persino accadere che la sua psiche ne riporti danni permanenti (si chiama sindrome da burnout).

E quindi no, Gramellini, quella foto non va appesa nelle facoltà di medicina, va mostrata ai sessantaquattromila ragazzi che ogni anno tentano il test di ingresso (un diplomato su otto, è possibile che un diplomato su otto voglia davvero fare questo lavoro? E' possibile che sappia cosa sta facendo?).
Va mostrata a chi in pronto soccorso scalpita e protesta perché la coda già lunga è bloccata da un codice rosso e deve aspettare quattro ore per essere visitato per la sua lombalgia cronica.
Va mostrata a chi si lamenta dei medici perché dopo tre infarti, un arresto cardiaco, due mesi in rianimazione e un intervento cardiochirurgico complesso ha un piede insensibile (comune complicanza da allettamento), senza pensare che è vivo per miracolo. 
Ma soprattutto va mostrata a chi distribuisce questi volantini fuori dall'ospedale, inducendo chiunque a tentare la strada del rimborso facile (tanto è gratis, tanto qualche errore si trova, tanto paga l'assicurazione che male c'è).

Nessuno sa nulla del medico della foto, né si sa di chi sia la colpa della morte del ragazzo (se mai colpa c'è stata), eppure "il web si commuove" e "l'immagine fa il giro del mondo": nella semplicistica sfera emotiva di internet il dolore di questo medico lo assolve, così come le fotografie di autopsie di gatti condannano perpetuamente gli scienziati a truci sofferenze.

Ebbene, forse serviva una foto di così forte impatto per far comprendere che ogni medico si è sentito così, almeno nell'anima, almeno una volta nella sua carriera. Ricordatevelo la prossima volta che "Se guarisco è merito di padre Pio, se non guarisco è colpa dei medici".


giovedì 15 gennaio 2015

COSE CHE TI INSEGNA L'ESAME DI STATO



Siamo di nuovo in periodo di Esame di Stato. Questo, per i neo-laureati, significa una sola cosa: crocette.

Vi è stato un tempo in cui per giudicare se una persona fosse in grado di svolgere la professione medica la  si portava in un vero reparto, davanti ad un vero paziente e le si chiedeva di visitarlo e compilare una cartella clinica.
Questo prima che le manie di oggettività e americanizzazione prendessero il sopravvento, così, al momento, il nostro esame di abilitazione consiste di due prove con quiz a risposta multipla, da 90 domande ciascuna. Domande che vengono estratte da un archivio di circa 7000 quesiti pubblicato dal Miur con un anticipo di almeno sei mesi.

Quello che ogni neolaurato fa, quindi, è leggere e rileggere queste domande, spesso nozionistiche, spesso assurde e talvolta errate, imparando a memoria la risposta corretta.
Roba che la prima settimana ti senti a "Chi vuol esser milionario?", la seconda settimana a una partita di Trivial Pursuit particolarmente noiosa intrapresa alle quattro del mattino di un capodanno e dopo la terza settimana concepisci la risposta multipla come unico mezzo di interazione col prossimo e inizi a mandare messaggi tipo "Cosa facciamo stasera? a) mangiamo una pizza b) andiamo al cinema c) kebab veloce e poi torniamo in aula studio a fare crocette".

Sono mesi in cui ogni momento della giornata è buono per fare due quiz sul telefono o l'ipad: aspettando l'autobus alla fermata, in coda alle poste, persino sul cesso.
Sono mesi che, per fortuna, ho superato da tempo, ma mi sono sempre pentita di non aver dedicato almeno un post a un simile delirio. Quindi ora, mentre attendo di capire come poter parlare del mio lavoro senza violare il segreto professionale, vi regalo questo splendido decalogo.
NB le domande sono quelle della prima sessione 2013, ma non credo che il Miur si sia affrettato a cambiarle, spero non quelle divertenti almeno!

1) Nessuno ha la minima idea di come si scrive morbo di Crohn, Chron, Crhon, Crhonn... insomma quello lì

2) Nel dubbio sempre meglio fare un'ecografia

3) Il fumo non fa poi così male, infatti nelle domande sui fattori di rischio non è mai quella giusta


4) La birra è l'alimento più ricco di vitamine del gruppo B

5) Nel dubbio la risposta più lunga è quasi sempre quella corretta (ma spesso vale anche per quella con le scritte tra parentesi)

6) La visione del mondo degli autori delle domande è ferma agli anni '70, almeno nella definizione dei lavori

quale delle seguenti occupazioni comporta il rischio di patologia del rachide? 
A)videoterminalista 
B)guardia notturna 
C)bidello 
D)tecnico del suono   
E)operatore cinematografico

7) Fra le nozioni essenziali per poter esercitare la professione medica c'è questa

il caratteristico grisou di miniera contiene fondamentalmente 
A)silice
B)metano
C)acido cianidrico
D)acido solfidrico
E)monossido di carbonio

8) Probabilmente a scrivere le domande hanno messo un anziano videoterminalista che non sa disattivare il controllo ortografico automatico di Word, altrimenti non si spiegherebbero alcuni simpatici errori di stampa come cellule "apolidi" e "striale" per atriale, per non parlare del mio preferito... il mezzo di contrasto "maritato"

9) Ancor più probabilmente al suddetto videoterminalista alla cinquemillesima domanda copiata sono venuti alcuni deliri religiosi estrinsecatesi in:
  • sindrome di Zollinger Eleison (kyrie)
  • cellule eucaristiche
  • satanici (per sartanici)
  • l'eczema da contatto è devoto a...

10) Infine ci possiamo divertire con un simpatico giochetto: delle sei risposte a queste domande una sola è stata inventata dalla sottoscritta, sapreste indicare quale?

cos'è la tricotillomania?

A)un'esagerata attenzione all'acconciatura dei capelli

B)un comportamento tendenzialmente ossessivo-compulsivo
C)un'allucinazione somatica
D)la mania di cambiare frequentemente pettinatura
E)un'alopecia cicatriziale del cuoio capelluto
F)una malattia protozoaria

alcuni antidepressivi sono detti triciclici perchè 
A)sono utilizzati nelle forme cicliche
B)devono essere somministrati per tre cicli successivi
C)per le caratteristiche della struttura chimica
D)è stato attribuito loro un nome di fantasia
E)sono stati scoperti nel terzo ciclo dell'era psicofarmacologica
F)l'inventore è stato ispirato dal triciclo di suo figlio

la scabbia norvegese
A)si osserva solo in Norvegia e nei paesi scandinavi
B)si osserva in norvegesi o scandinavi immunodepressi
C)si osserva in norvegesi o scandinavi depressi
D)si osserva in norvegesi o scandinavi in viaggio in Sud America
E)si osserva in soggetti immunodepressi
F)si osserva in sudamericani in viaggio in Norvegia

la pubblicità personale del medico 
A)è solo possibile pubblicità indiretta
B)è solo possibile la pubblicità diretta
C)è possibile solo sui quotidiani locali
D)è possibile solo con volantinaggio
E)è possibile sia la pubblicità diretta che indiretta
F)è vietata ogni forma di pubblicità

se in un centro di terapia intensiva giungono contemporaneamente due ammalati in pericolo di vita e vi è un solo posto a disposizione, il sanitario a chi deve dare assistenza?
A)a nessuno dei due
B)affidarsi alla sorte
C)al più giovane
D)al più vecchio
E)al più attraente
F)a quello che ha maggiori probabilità di salvarsi

il codice di deontologia medica è
A)il codice è un particolare tipo di linguaggio medico specialistico
B)una branca specialistica della genetica che studia il codice del DNA
C)una raccolta di casi clinico-metodologici
D)la grafia con cui vengono scritte le ricette mediche
E)principi e regole per i medici iscritti all'albo professionale
F)una rassegna di articoli medico-scientifici

la conversione sul piano somatico dei conflitti inconsci è alla base
A)dei sintomi isterici
B)dei sintomi neuroastenici
C)delle crisi epilettiche
D)dei sintomi psicosomatici
E)di alcune conversioni religiose
F)no mi dispiace, questa è troppo bella per inventare una risposta fasulla...

e mi raccomando, ricordate sempre che

l'esercizio della medicina è fondato 
A)sul conseguimento della laurea in Medicina e Chirurgia 
B)sulla libertà e indipendenza della professione 
C)in base alla graduatoria regionale 
D)sulla idoneità e il decoro dei locali adibiti a studio medico 
E)sulla cittadinanza italiana e/o europea