sabato 26 novembre 2016

AFASIA (parte seconda)



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Laura? Cosa diamine fai ci fai qui, Laura?
Hanno rapito anche te!
Vogliono costringermi a parlare.
D'accordo, d'accordo, non so cosa volete da me, ma farò tutto quello che volete, basta che non le facciate del male, ok?
Laura, amore, cosa fai sul mio letto? vattene, tu che non sei legata, non pensare a me, scappa!
Ma come hanno fatto a prenderti? Ero andato da solo al supermercato. Il cellulare, maledetto. Lo sapevo che non dovevo salvarti “amore”.
Nome e cognome.
Sempre detto.
Poi mi hai fatto quella scenata.
”Conto così poco per te da essere un nome e cognome qualunque in rubrica?”
No, Laura, non conti così poco, darei la vita per te.
Oh, Ma perché ti ho dato retta? Perché ho reso così facile rintracciarti?
Vattene Laura, scappa, ci penso io a loro.
Perché anche tu parli strano, Laura?
Quando hai imparato questa lingua?
Perché non mi hai mai detto niente?
Sei d'accordo con loro anche tu?
Sei tu che mi hai fatto catturare?
Sei tu che gli hai detto che sarei andato al supermercato?
Sei tu che mi hai tradito?
Dimmelo, Laura, sei tu?

Eccola, ecco la prova che stavo cercando: sei lì che parli con la ragazza coi capelli corti, sei d’accordo con loro, Laura, parli la loro lingua.
Oh, Laura, perché? Perché?
Eravamo felici insieme, io ti amavo, Laura, eri tutta la mia vita, come hai potuto tradirmi così? Come ho potuto non accorgermi che tramavi nell’ombra, che ti approfittavi del mio amore?


“Ma, dottoressa, è sicura che faccio bene a stare qui? Si agita di più quando mi vede, è come se non mi riconoscesse, è rabbioso, non lo riconosco”.

”Signora, suo marito ha subito dei danni importanti con l’ictus, non siamo in grado di capire se riconosca le persone e l’ambiente che lo circondano. Essere attorniato da estranei è stressante per lui, un volto familiare non può fargli che bene. Certo, non siamo sicuri che la riconosca, però male non può fare”.

Quindi è così? Tutta la mia vita non è stata altro che una menzogna? La persona cui ho voluto in assoluto più bene, la mia Laura, era lì pronta a tradirmi. Non mi ha mai amato, lei, ha sempre finto in attesa di questo giorno.
Sei contenta Laura? Ora finalmente puoi vedermi qui, inerme, in balia di questi Mengele che mi hanno impiantato un braccio artificiale, un dispositivo di tracciamento e chissà cos’altro.
Ah, è tutto chiaro, ora: la tua scarsa propensione per i viaggi (avevi paura che scoprissi la tua vera identità?), quella volta che ti sei infuriata perché sono uscito con gli amici senza dirtelo. Avevi paura che scappassi eh? Avevi paura che vanificassi i tuoi sforzi sparendo prima che potessi portare a compimento il tuo piano!
E dimmi, Laura: la debolezza e le vertigini delle ultime settimane? Erano colpa tua anche quelle vero? Mi stavi avvelenando. Così avresti potuto costringermi ad andare dal medico passando per un moglie premurosa… eh Laura? Peccato che io i medici li odi e non mi sia lasciato convincere. Sarebbe stato un piano perfetto, il tuo. Ma no, io resistevo, io dal medico non ci volevo andare, e così sei stata costretta a farmi rapire al supermercato. Sai che ti dico? Che ti odio, Laura. Prima ti amavo, ma ora ti odio.


“Ma Lei dice che [singhiozzo]? Erano un paio di settimane che aveva queste vertigini in continuazione… Gli cadevano le cose dalle mani. Sbatteva contro le porte, come se non le vedesse. Io glielo ripetevo di continuo: Marco, non stai bene, vai dal medico, ma lui niente.
Ha sempre avuto la testa dura.
Il medico è quello che paghi perché ti dica se è il caso di prenotare la bara all’ikea, diceva sempre.
Non mi dà mai retta.
Se mi avesse dato retta, almeno [singhiozzo]”.

”Non pianga, Signora, quelle le vertigini erano già i segni del primo ictus, ma anche se quello fosse stato preso in tempo, per il suo tumore sarebbe stato comunque troppo tardi”.


”Sì, ma vederlo così è una sofferenza per tutti, e chissà per lui”.

”Purtroppo non siamo in grado di sapere che percezione ha Marco di ciò che gli sta intorno e fino a che punto sia cosciente, ma non ho mai dato segno di riconoscerla ed è ancora molto agitato. Possiamo sempre sperare in un recupero che per quanto riguarda i movimenti c’è senz’altro stato, ma sulla parola, purtroppo, gli esiti sono più variabili e solo il tempo ci potrà dire”.



Bianco.
Luce.
Mi ci sto abituando.
Sto iniziando a capire cosa mi dicono.
Vogliono sempre le stesse cose.
Stai fermo. Apri di occhi. Tira fuori la lingua.
Mi usano come una cavia. Tra poco, appena mi mostrerò più collaborativo, mi metteranno a girare su una ruota come un criceto o mi abbandoneranno in un labirinto pieno di trappole per vedere se riesco ad uscirne vivo usando questo braccio bionico.
Anche a quello mi sto abituando.
Lo muovo persino, anche se con fatica, pesa una tonnellata, sarà di titanio. Come minimo mi aspetto che premendo un bottone nascosto si trasformi in un mitra. Se solo scoprissi con quale sequenza di movimenti si attiva potrei far fuori tutti: Faccia-A-Luna, Bin Laden e la ragazza con i capelli corti per primi, poi tutte le guardie che accorrono solo quando cerco di scappare e per ultima te, Laura. Lo so che vieni di nascosto la notte, quando faccio finta di dormire. Hai paura a farti vedere di giorno ora che ti ho scoperta eh? Hai paura che cerchi di ucciderti.
Ma vedrai, poco alla volta con questo braccio mi allenerò. Scoprirò quali sono i suoi segreti e appena riuscirò a dominarlo ti ucciderò. 

Ti vedo che piangi, lo sai?

Vieni qui la notte e singhiozzi sul mio letto quando fingo di dormire.
Ti sei pentita? Ti faccio pena? È troppo tardi ormai. Dovevi pensarci prima di vendermi a questi sadici.
Ma forse non è troppo tardi, Laura, aiutami a fuggire, Laura, non piangere, non voglio ucciderti sul serio, Laura, mi hai fatto molto arrabbiare, mi hai venduto questi terroristi che fanno strani esperimenti su di me, Laura, cerca di capirmi, ti prego, non piangere. 

Ecco, sì, così. Guardami. Guardami negli occhi come se fosse la prima volta.

Ricordi?
Quando ci siamo innamorati: pioveva e non volevi bagnarti le scarpe nuove. Eri così deliziosa, con quell’aria timida, ti dondolavi su e giù sui gradini della biblioteca, cercando riparo sotto il cornicione e guardavi la piazza come se fosse un lago, una distesa invalicabile d’acqua e vento.
Eri così bella che ho rubato un ombrello al ristorante solo per poterti accompagnare per quei pochi metri.
Non l’ho fatto con cattiveria, giuro. Lo so che non avrei dovuto rubare l’ombrello ad un povero cristo che mangiava ignaro, ma non potevo lasciarti lì, capisci, e io quel giorno l’ombrello non ce l’avevo.
Ma ho capito subito subito che non potevo perderti.
L’ho capito da come eri rivestita, da come ti dondolavi sui talloni, dal tuo sguardo spaurito, da come ti mordevi il labbro guardandoti intorno alla ricerca di una via di fuga. Quando ti ho offerto l'ombrello l'ho capito dal tuo sguardo che eri quella giusta, Laura.
Guardami così.
Guardami come se ti porgessi l'ombrello in un giorno di pioggia e tu avessi paura di bagnare le scarpe nuove.
Guardami e promettimi che fuggiremo insieme, ci dimenticheremo di tutto questo. Fuggiremo lontano, dove non possano trovarci mai, ricominceremo da capo.
Ecco, lo sento di nuovo, ma questa volta non è come le altre, non è quella porcheria chimica, quel sonno che ti forza le palpebre anche quando il tuo cervello lotta per stare sveglio, questo è sonno vero.
Laura, io e te, a casa.
Io e te in una nuova casa, lontana.
C’è il mare. Si sentono voci di bambini, rumore delle onde.
Senti anche tu, Laura? Com’è bello? E tutto perfetto qui.
È un sogno.




domenica 20 novembre 2016

AFASIA (prima parte)


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L'afasia (dal greco ἀφασία mutismo) è la perdita della capacità di comporre o comprendere il linguaggio, dovuta a lesioni alle aree del cervello deputate alla sua elaborazione.

È causata da lesioni delle aree del cervello primariamente deputate all'elaborazione del linguaggio (area di Broca e area di Wernicke) o ad altre aree di connessione con diversi centri del cervello variamente implicati nella funzione. Queste aree sono collocate in genere nell'emisfero sinistro.
L'afasia di recettiva è un'afasia fluente in genere causata da una lesione corticale dell'area di Wernicke, della corteccia uditiva associativa e del lobulo parietale inferiore Comporta problemi sia nella comprensione del linguaggio sia nella produzione. La capacità di elaborare un discorso fluentemente è mantenuta; l'eloquio è parafasico e ricco di circonlocuzioni con neologismi. Il paziente non si rende conto che il suo linguaggio è incomprensibile e può manifestarsi collerico e paranoico. L'unica comprensione conservata è quando gli si ordinano movimenti che utilizzano la muscolatura assiale (es. alzati, chiudi gli occhi, girati) ma non capisce la domanda "come ti chiami?".



La negligenza spaziale unilaterale (NSU), nota anche come eminattenzione spaziale o sindrome neglect o eminegligenza spaziale unilaterale, è un disturbo della cognizione spaziale nel quale, a seguito di una lesione cerebrale, il paziente ha difficoltà ad esplorare lo spazio controlaterale alla lesione e non è consapevole degli stimoli presenti in quella porzione di spazio esterno o corporeo e dei relativi disordini funzionali. 
I pazienti con neglect sono quasi sempre completamente anosognosici, non hanno cioè consapevolezza del proprio deficit, e possono presentare emisomatoagnosia, cioè non riconoscono gli arti paretici come propri, e somatoparafrenia, cioè fantasie morbose riguardo ai propri arti paretici (es. gli sono stati impiantati mentre dormiva). 


Fonte: Wikipedia 

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Lampi di luce.
Voci incomprensibili.
Provo a muovermi, non ci riesco


Sonno.
Confusione.
Cerco di aprire gli occhi, accecati dal bianco.
All’improvviso compare una faccia sconosciuta alla mia sinistra, da dove è spuntata? Un attimo fa non c’era. Parla, ma in una lingua strana. E’ un faccione tondo, sembra amichevole.
Dove sono finito? E soprattutto come? L'ultima cosa che ricordo… Non ricordo più qual è l'ultima cosa che ricordo.
Sono uscito con i soliti, e poi?
Poi devo essere andato a dormire: mi è ripresa quella strana nausea e quelle vertigini che avevo già da qualche settimana. Mi sono messo a letto.
Possibile che sia tutto qui?
No, ricordo di essermi svegliato. Il frigo era vuoto, sono andato a fare la spesa. E poi?
E poi il vuoto.
E questo faccione tondo che parla una lingua incomprensibile.
Devo dirgli che non lo capisco. 



"Marco?"


Sa il mio nome.
Dove sono? Devo chiederglielo.


Cattura lo sguardo, allora non ha un’eminattenzione. Però è ancora afasico: "Marco, tira fuori la lingua!".
Non esegue ordini semplici.
V giornata di ricovero. Paziente vigile, disorientato, non collaborante. Non esegue ordini semplici. Emiplegia brachiale destra invariata, emiparesi crurale destra in riduzione. Mucose idratate; toni cardiaci validi, ritmici; compatibilmente con la scarsa collaborazione offerta murmure vescicolare presente ai campi anteriori; addome trattabile, apparentemente non dolorabile; non edemi declivi.

Non mi capiscono, chissà che lingua parlano. Chissà come fanno a sapere il mio nome: sono uscito senza documenti, forse mi hanno rapito. Forse sono in una base dell'Isis. Ma è troppo bianca per essere una grotta in Siria. E poi il tizio col faccione tondo non sembra arabo. E neanche la lingua che parlano assomiglia all’arabo.
Forse sono in una base russa. È ricominciata la guerra fredda e stanno usando cavie umane per qualche arma batteriologica. Forse rapiscono la gente che va al supermercato la domenica mattina: li stordiscono e li chiudono in una cella frigorifera. Questo spiegherebbe il bianco.
Ma non il caldo.
Fa caldo.
In Russia dovrebbe fare più freddo. E poi non sembra neanche russo la lingua che parlano.
Ma come fanno se mi hanno preso al supermercato a sapere il mio nome?
Forse sono su un'astronave aliena.
Spiegherebbe tutto questo bianco.
In ogni caso devo andarmene al più presto.
Anzi subito: mi alzo e me ne vado.
Accidenti quanto pesa questa gamba: la sinistra la muovo, ma la destra pesa. Devo essermela rotta, però non fa male, strano, è solo pesante come il piombo. Ma riuscirò a muovermi. Piuttosto mi trascino.
Ora scendo.
Una gamba, un braccio.


"Attenti che cade!"
"Fategli mezzo Talofen intramuscolo".



Ce l'ho quasi fatta, manca solo la gamba pesante. Ehi! Cos'è tutta questa gente? Da dove spuntano?
Prima c’era solo il tipo con la faccia tonda ora sono quattro.
Male.
Punge.
Sonno.

Chi sono questi? E perché ce l’hanno con me? Forse è la C.I.A., forse mi sorvegliavano da un pezzo. Forse sono una pedina strategica di un conflitto a me sconosciuto. Forse sono l’erede dello zar di Russia e Putin vuole restaurare la monarchia. Forse viviamo in un mondo virtuale come Matrix e io sono l’Eletto.
Sì, deve essere così, per questo mi addormentano in continuazione: hanno paura che con i miei poteri, di cui non ho ancora piena consapevolezza, possa distruggerli!
Devo fingermi più debole di quello che sono, se mi vedono forte mi addormenteranno di nuovo, invece devo stare buono e poi approfittare di un momento in cui la sorveglianza è minore e raccogliere le forze per scappare.


VI giornata di ricovero. Plurimi episodi di agitazione psicomotoria necessitanti di terapia psicoattiva. Paziente persistentemente disorientato, afasico. Emiplegia destra in miglioramento. Obiettività generale invariata.


Ecco mi sto risvegliando. Di nuovo Faccia-A-Luna.
E quell’altro chi è? Questo ha la barba.
Magari è l'Isis dopotutto.


“Ciao Marco! Mi sai dire il tuo nome? Come ti chiami? Marco? Marco? Guardami! Come ti chiami?”


Perché continuano a urlare il mio nome? Marco, Marco… Lo so che mi chiamo Marco!
Ma non capisco il resto.
”Non vi capisco! Sono Marco, cosa ci faccio qui?”


È ancora afasico, emette suoni incomprensibili, è impossibile stabilire se capisca o meno quello che gli diciamo e purtroppo per la radioterapia c’è bisogno di un minimo di collaborazione.

Ecco, è il momento: è buio, ma sono sveglio. La sorveglianza è più bassa. Faccia-A-Luna non c'è e Bin Laden neppure.
Un braccio, una gamba, l'altra gamba, ehi, questo cos'è? C'è un braccio attaccato alla mia spalla destra, ma non è il mio.
Allora è vero che è un laboratorio di ricerca su cavie umane. Mi hanno impiantato un braccio artificiale o trapiantato il braccio di qualcun altro, devo liberarmene al più presto.
Ma prima devo uscire da qui: manca così poco, un salto.


“Presto correte, il sette è caduto di nuovo!”
“Ma non è possibile. Prendete una barella, va portato subito in radiologia”.
“Ma no, così è troppo agitato: non riusciranno mai a fargli la tac in queste condizioni. Fategli un Talofen intramuscolo, io avviso il radiologo”.


Mi hanno preso di nuovo. Questo braccio mi rallenta e la gamba rotta è di intralcio. Deve essere una strategia studiata, o nel braccio bionico è inserito un sensore di movimento che li avverte dei miei spostamenti. Sì, deve essere così, non si spiega perché intervengano così rapidamente, altrimenti.
Devo essere un ostaggio importante se prendono tutte queste precauzioni.

Buio.

Questa volta oltre a Bin Laden c’è una donna: è giovane, ha i capelli corti e non ha il velo. Quindi non è l’Isis.
Magari lei parla la mia lingua. Magari l’hanno chiamata per negoziare. Magari è un’interprete.
“Ehi! Parli italiano? Mi chiamo Marco, puoi aiutarmi?”


“Ciao Marco! Riesci a guardarmi?”
Muove anche il braccio destro, gradualmente migliora, ma è ancora afasico.


Niente, anche lei parla questa strana lingua e non mi capisce. Mi chiedo cosa l’hanno chiamata a fare. Forse speravano che mi capisse, forse sa qualche altra lingua europea. Magari l’inglese.
“Hallo, I’m Marco, do you speak English?”
Magari a gesti mi capiscono meglio.
Ehi aspetta, perché riesco a muovere il braccio solo fino a qui?
Cos’è questa cosa?
Mi hanno legato!
Lo sapevo che avrei dovuto studiare meglio la fuga, ora li ho insospettiti e hanno aumentato la sorveglianza. Avrò qualcuno sempre addosso e dovrò liberarmi di queste manette, magari basta uno strappo.


"Aspetta Marco, che c’è? Stai fermo, ti fai male! Non puoi scendere dal letto".
Dobbiamo chiamare gli psichiatri, non possiamo continuare a sedarlo e contenerlo ogni volta che si sveglia.


È la prima volta che faccio caso al mio vicino. Forse perché oggi mi ha parlato. Parla Anche lui quella lingua strana.
Devo essere l’unico straniero. Chissà dove sono.
”Dai retta a me, amico, scappa tu che puoi, tu che hai due gambe che funzionano e non sei ancora legato! Scappa prima che ti impiantino un braccio bionico come hanno fatto con me”
“Aspetta, No! Perché urli? Così li allarmi. Ma sei proprio stupido, chi ti ha insegnato a scappare? Così verranno a prenderti, amico, stai sbagliando tutto!”
Oh no, sono io che sbaglio, vengono a prendere me! È in combutta con loro, li ha avvertiti, avrà spifferato che gli ho suggerito la fuga. Vatti a fidare dei compagni di cella.
”Puoi ringraziare che sia legato, stronzo, se no verrei a dirti di persona cosa penso di te, brutto infame, delatore, spia che non sei altro”.
Oh no, di nuovo una flebo: ho pochissima autonomia, devo strapparla via o tornerò nel buio per chissà quanto tempo. Forse con i denti riesco ad arrivare al tubo della flebo e staccarlo.


“Grazie, signor G. Il suo vicino è di nuovo un po’ agitato eh? Lo so, bisogna avere pazienza, fa il diavolo a quattro soprattutto la notte. Di giorno, finché c’è qualcuno che guarda, è tranquillo, ma la notte… Cosa vuole, la notte l’ospedale fa paura! "

Paura e solitudine
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